22 aprile 2010

La Grande Gioia

Caro lettore,

di nuovo, per vari giorni, il mio cuore ha combattuto la tentazione di alzare la voce e dichiarare quanto schifo prova nel leggere le notizie che la cronaca, la politica e quant'altro vomitano sulle nostre giornate, ma poi ancora una volta ho preferito riflettere, calmare tanta pena e non alimentare quello che sicuramente è un fuoco di sdegno che già brucia dentro tutti coloro che "sentono" la vita veramente... Perciò non butterò benzina sul fuoco e condividerò con te le parole di un grande poeta che trasformano l'amarezza in gioia...

La Grande Gioia

di Pablo Neruda

(trad. di Giuseppe Conte)

L'ombra che ho frugato ormai non mi appartiene.
Io ho la gioia duratura dell'albero,
l'eredità dei boschi, il vento del cammino
e un giorno deciso sotto la luce terrestre.

Non scrivo perché altri libri mi imprigionino
né per accaniti apprendisti di giglio,
bensì per semplici abitanti che chiedono
acqua e luna, elementi dell'ordine immutabile,

scuole, pane e vino, chitarre e arnesi.

Scrivo per il popolo per quanto non possa
leggere la mia poesia con i suoi occhi rurali.
Verrà il momento in cui una riga, l'aria
che sconvolse la mia vita, giungerà alle sue orecchie,
e allora il contadino alzerà gli occhi,
il minatore sorriderà rompendo le pietre,
l'operaio si pulirà la fronte,
il pescatore vedrà meglio il bagliore
di un pesce che palpitando gli brucerà le mani,
il meccanico, pulito, appena lavato, pieno
del profumo del sapone guarderà le mie poesie,
e queste gli diranno forse: "È stato un compagno".

Questo è sufficiente: questa è la corona che voglio.
Voglio che all'uscita di fabbriche e miniere
stia la mia poesia, attaccata alla terra,
all'aria, alla vittoria dell'uomo maltrattato.
Voglio che un giovane trovi nella scorza
che io forgiai con lentezza e con metalli
come una cassa, aprendola, faccia a faccia, la vita,
e affondandovi l'anima tocchi le raffiche che fecero
la mia gioia, nell'altitudine tempestosa.

(titolo originale La gran alegrìa)

15 aprile 2010

RIFLETTERE...

Caro lettore,

sono vari giorni che ho l'impulso di scrivere qui sul blog, ma freno tale impulso, perché nella mia mente si accavallano troppi sentimenti che offuscano le parole, soprattutto la rabbia...

Avrei voluto toccare il delicato, osceno, insulso argomento dello scandalo "pedofilia e Chiesa cattolica", ma tante voci si sono levate e mi è sembrato superfluo aggiungere la mia...

Da quello si sarebbe potuto passare all'indecente linea difensiva che la gerarchia cattolica ha scelto, quella di minimizzare e gridare al "complotto" contro il Papa...

E poi la stupidità e ignoranza del card. Bertone che ricicla l'equazione pedofilia e omosessualità...

E l'ignavia della Consulta che decide di non pronunciarsi sull'incostituzionalità delle norme che impediscono il matrimonio omosessuale, rinviando al legislatore (sarebbe il Parlamento, ma ormai in Italia pare che sia il Governo...) la "patata bollente"...

I silenzi complici delle istituzioni italiane sulla vicenda dei volontari di Emergency arrestati a Kabul, volontari scomodi perché non approvano la "missione di pace" internazionale ivi presente...

... ma su tutte queste cose trovi abbondanza di materiale su cui riflettere (e arrabbiarti) anche su altri siti (vedere Links in alto a destra sul blog), perciò preferisco segnalarti una lettura altra, tratta da Adista, che prosegue il percorso della nuova teologia (meno confessionale e più umana) che già qualche post fa ti avevo consigliato, ecco il link:

Se l'immagine di Dio è in espansione...

Buona riflessione!

6 aprile 2010

La Prima Linea

Caro lettore,

ho visto ieri il dvd del film La Prima Linea di Renato De Maria, adattamento del libro di Sergio Segio, ex combattente di Prima Linea, di recente scarcerato e impegnato nel volontariato sociale. Il film è un resoconto lucido della storia del terrorismo italiano tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli 80, una ammissione esplicita di colpa del protagonista (lo stesso Sergio, interpretato con misura e intensità da Riccardo Scamarcio, al meglio delle sue capacità). Nemmeno per un momento un'apologia del terrorismo, pur illustrandone le motivazioni, ma una ricerca di espiazione attraverso la scoperta della disumanità della scelta della violenza come mezzo eversivo e di rivoluzione. Insieme a Scamarcio una sempre brava e bella Giovanna Mezzogiorno, che incarna quell'anima passionale della lotta, più dura a ricredersi.

Ma aldilà di tutto il film fa riflettere sulla violenza come strumento illecito di costruzione del vivere sociale, perché la violenza non è solo quella degli attentati e dei terroristi, a volte la violenza è delle istituzioni, a volte nella vita la violenza è quella psicologica del sistema economico e quella teologica dei dogmi e dei "principi non negoziabili". La violenza ha un terribile potere di seduzione, quello dell'espressione classica che "il fine giustifica i mezzi", che è giusto sottomettere l'altro fisicamente, o psicologicamente, o moralmente, "per il suo bene" o peggio "per il bene di tutti". La violenza si è sempre giustificata così e ancora lo fa. Almeno la violenza eversiva e rivoluzionaria, con la sua posizione di "fuorilegge" non può nascondere più di tanto questa sua natura perversa.

Il vero problema è la violenza istituzionalizzata, quella "legale" dei sistemi sociali, politici, economici, religiosi, che si occulta dietro i codici e le pretese di "sicurezza", come nella nostra sciagurata Italia di oggi. Che paventa il "disordine" e cerca l'"ordine", che poi spesso diventa "normalità" ovvero omologazione, appiattimento, decerebrazione diffusa... Perché gli "altri", sempre "loro" mai "noi", sono stupidi e vanno guidati dall'alto come bambini, anzi come marionette... senza dignità, che è anche la dignità di poter sbagliare, imparare dai propri errori, fare esperienza sulla propria pelle, che sia autentica e non sempre "confezionata" e "digerita".

La "sicurezza", la "legge" e l'"ordine a ogni costo" hanno un prezzo, pericoloso e pesante, che poi produce i mostri che la nostra storia conosce bene, "terrorismo" da un lato e "dittatura" dall'altro. Tutto per non affrontare la "paura", quell'aspetto irrinunciabile dell'esperienza umana, quando si fa consapevole della sua finitezza, fragilità e limitatezza intrinseca, che niente, nessuna certezza, dogmatica, legale o ideologica, può fugare. Salvo forse l'esperienza autentica, profonda e condivisa della Fede, qualunque aspetto o nome essa assuma...

A presto!