21 aprile 2011

Fiumi di Acqua Viva

Caro lettore,

ecco una riflessione biblica sull'acqua che ho preparato per alcuni amici e che mi pare giusto condividere con te, specie in questi giorni del Triduo Sacro.

Fiumi di acqua viva

Il tema dell'acqua attraversa tutto il testo della Bibbia: la troviamo all'inizio, dove "lo Spirito di Dio aleggia sulle acque" (Gen 1,2) e dove "Dio separa le acque che sono sopra il firmamento dalle acque che sono sotto il firmamento" (Gen 1,6-7); la ritroviamo alla fine della raccolta biblica nell'immagine del fiume di acqua viva che sgorga nella Gerusalemme celeste e al quale tutti sono invitati ad "attingere gratuitamente l'acqua della vita" (Ap 22,17). Allo stesso modo l'acqua ha assunto nella tradizione cristiana un ruolo fondamentale, come elemento materiale del Sacramento con cui si è introdotti all'appartenenza ecclesiale, il Battesimo. Quindi rimane una immagine biblica e teologica imprescindibile per il credente, in tutte le sue molteplici accezioni.

Sarebbe però impossibile analizzare in breve tutti i significati dietro la parola acqua (o acque, visto che in ebraico il termine ha la struttura morfologica di un sostantivo plurale, maim), che vanno dalla culla primigenia, elementale, della vita, all'immagine di fertilità e abbondanza, all'utilizzo sociale, agricolo e pastorale. Preferiamo pertanto concentrarci sull'ultimo di questi sensi, il ruolo più concreto, meno simbolico, dell'acqua, nel contesto della vita sociale, come è descritto nella tradizione biblica.

Va ricordato come il popolo ebraico, proveniente da una originale tradizione di pastorizia nomadica poi evolutasi in una società agricola stanziale, ha sentito e vissuto in modo essenziale il ruolo dell'acqua e la sua reperibilità, spesso legandolo in modo evidente all'azione di Dio nella sua storia di salvezza. Trovare un pozzo, un'oasi a cui far abbeverare il bestiame, era essenziale per la sopravvivenza. Per un pozzo si correva il rischio di dover combattere, anche se le tradizioni del tempo consideravano la disponibilità dell'acqua qualcosa di sacro e condiviso, non soggetto a controlli di nessun tipo, proprio per il suo valore elementare di sussistenza.

Ancor più della pastorizia, l'agricoltura stanziale, che diventa il principale mezzo di sostentamento nell'Israele dell'epoca regale, necessita di fonti per l'irrigazione. Non a caso tutte le società dell'epoca, non esclusa quella ebraica, si sviluppano nelle valli fertili del corso dei fiumi: il Giordano svolge questo ruolo per il popolo biblico. Sempre per lo stesso motivo l'acqua fresca, corrente, viene vista in modo totalmente diverso dall'acqua salata, marina. Il mare è spesso lontano e minaccioso, legato nel testo biblico più ad aspetti negativi e malvagi della vita, perché costituisce più un problema che una risorsa (la pesca in Israele era più di tipo lacustre e fluviale, come ricordano anche i Vangeli: il "mare di Tiberiade" è un lago in effetti).

Per comprendere ancora meglio come l'acqua viene vista come risorsa da condividere, perché "dono di Dio", non proprietà di alcuno, faremo cenno ad alcuni testi biblici in particolare.

Il primo riguarda le vicende di Isacco per scavare pozzi d'acqua per il suo bestiame, riportate in Gen 26,19-25. Nel testo Isacco è costretto a scavare di nuovo i pozzi che aveva usato suo padre Abramo e che i Filistei avevano turato con la terra (vv. 15.17-18) "chiamandoli come li aveva chiamati suo padre". Notiamo subito l'uso "politico" del controllo delle risorse idriche: i Filistei chiudono i pozzi per impedire lo stanziamento di altre tribù nel loro territorio. Particolare anche il fatto che Isacco dia un nome ai pozzi, trattandoli come un elemento importante della geografia, dando a essi una dignità, ma senza poterne asserire il controllo. Nel v. 19 i suoi servi poi scavano nella valle un "pozzo di acqua viva", che però Isacco deve abbandonare perché conteso coi pastori di Gerar. L'espressione "acqua viva" fa supporre si tratti di una fonte particolare, forse perché gli altri pozzi erano più cisterne e questo invece produceva acqua in modo sorgivo, o forse perché quest'acqua aveva particolari doti minerali. Sta di fatto che Isacco chiamerà questo pozzo "Esech" che vuol dire "lite, contesa", come chiamerà "Sitna", cioè "accusa" il successivo, al quale ugualmente dovrà rinunciare. Al terzo tentativo (v. 22), numero tipicamente simbolico della cultura biblica, ha successo e scava un pozzo per il quale non litigò con nessuno e lo chiamò "Recobot" che significa "spazi liberi". Poi si reca a Bersabea e di notte riceve una visione (v. 24) in cui Dio rinnova con lui l'allenza con la promessa della discendenza. Isacco risponde alla visione erigendo un altare, piantando la tenda e scavando un pozzo.
Nell'intero brano, ma soprattutto nella conclusione, appare evidente che l'acqua va ricevuta come "dono", come "grazia", da Dio e per esso va elevata a lui la lode. Isacco non è "padrone" di quest'acqua, come non lo è della terra, ma riceve entrambe in virtù della promessa e Dio si fa garante dell'uso di questo bene, di cui rimane "proprietario" ma che volentieri mette a disposizione del suo popolo.

L'acqua per bere, soprattutto nel terreno inospitale e desertico, ricorre poi più volte nel viaggio del popolo ebraico dopo la liberazione dall'Egitto, mentre Dio lo guida, attraverso Mosè, verso la "terra promessa". Il popolo si lamenta e si preoccupa per l'assenza di acqua e a questa preoccupazione Dio risponde ogni volta fornendo acqua dolce e fonti inaspettate, nonostante l'atteggiamento poco fiducioso che la narrazione attribuisce al "popolo eletto". Spesso il dono dell'acqua è accompagnato da un "rinnovamento" dell'alleanza, a sancire il valore del gesto di Dio, che fornisce il bene desiderato e di cui è Signore. Esempi sono l'episodio di Mara (Es 15,22-27), dove Mosè trasforma acqua amara in acqua dolce; poi il più noto Massa e Meriba (Es 17,1-7) con l'acqua che scaturisce dalla roccia. L'acqua ritorna anche come elemento fondamentale per descrivere la terra che il Signore ha riservato per il suo popolo e che conquisterà per lui scacciando i vari popoli che in essa vivono: infatti è un "paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna" (Dt 8,7). Nell'annunciare le meraviglie preparate per Israele, Dio non tralascia di ricordare che ha sostenuto con l'acqua il popolo nel deserto e lo ammonisce a non dimenticare questo dono, inorgogliendosi, una volta nella prosperità, e sentendosene "padrone" (Dt 8,12-17). Soprattutto il v. 17 riassume il monito che il testo biblico citerà a più riprese: "Guardati dunque dal pensare: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze".

Questo elemento è essenziale per capire come il valore della terra e dell'acqua sono concepiti nel testo biblico e come spesso il richiamo all'alleanza risuoni, anche negli scritti profetici, come rimprovero a un Israele infedele e corrotto che ha dimenticato che deve tutto al Signore. L'idea di "proprietà privata", cioè personale, risulta come un insulto alla signoria di Dio a cui tutto deve riferirsi, almeno in linea teorica. La prassi della restituzione delle terre ai rispettivi padroni, nell'anno giubilare (Lv 25,8-17), enuncia proprio questa idea, che forse non è stata mai realmente attuata in senso pratico, ma che costituisce il modello teologico di riferimento: Dio è il Signore e unico padrone, non gli uomini, perché è colui che dona. Non è solo una dichiarazione della generosità di Dio, è la descrizione del principio di possesso: Dio è il Signore proprio perché sa donare ciò che possiede, non come l'uomo che possiede per sé.

L'ultimo riferimento che vogliamo fare è a un brano famoso dei Vangeli: l'incontro di Gesù e della samaritana al pozzo di Sicar (Gv 4,1-42). Dopo l'uccisione del Battista, Gesù abbandona prudenzialmente la Giudea e ritorna nella Galilea, passando per la Samaria e fermandosi a Sicar, l'antica Sichem probabilmente, al pozzo detto di Giacobbe (ma di cui la Genesi non fa menzione). Qui incontra una donna samaritana e le chiede da bere: come sappiamo da questa richiesta prende il via un "incontro" tra Gesù, questa donna e la sua comunità, che sposta l'attenzione dall'acqua materiale all'acqua viva di cui Gesù si presenta fonte inesauribile. Annuncio che tra l'altro si lega alla diatriba sul luogo di culto (tempio di Gerusalemme o monte Garizim?) che Gesù elimina con la presentazione del culto in Spirito e verità, slegato da una istituzione cultuale specifica. Ma ciò che conta per la nostra riflessione è che la richiesta umile dell'acqua da parte di Cristo diventa la molla per una catechesi spirituale delle più intense. Gesù "osa" chiedere l'acqua a una donna e per di più samaritana, nonché di costumi morali non particolarmente limpidi. Questo lo pone nella situazione di inferiorità, che stupisce molto la donna e persino i suoi discepoli quando ritornano. Chiedere l'acqua è gesto umile, dal quale poi nasce salvezza per la donna e tutto il suo villaggio. Cristo è la fonte di acqua viva eppure non si scompone e non si ritrae dal gesto della richiesta, capovolgendo, in tipico spirito evangelico, gli schemi mondani, per cui un uomo avrebbe solo dato ordini alla donna, ancor più se Giudeo verso una Samaritana. Soprattutto Gesù promette un'acqua che zampilla senza fine e che la donna desidera, che da vita e la da in abbondanza, senza distinzioni di popolo, razza, cultura, usanze religiose e non.

Ma senza la umile richiesta dell'acqua, vissuta come grazia e non come proprietà, questa promessa non può nemmeno essere annunciata... Gesù è il Signore e padrone dell'acqua ma non esercita su di essa il dominio, perché ha insegnato che nel suo Regno (che non è altrove ma qui) le cose funzionano così: il primo si fa ultimo, il più grande servo, la fonte di acqua viva chiede "ho sete" per poter dare da bere.

Anche sulla croce Cristo dirà "ho sete", prima di offrire la vita e poi zampillare in modo dirompente e fresco nella Risurrezione.