6 gennaio 2010

La pace, la luce, la ragione, la violenza

Cosa hanno in comune queste quattro parole? Direi tanto, come mi sto accorgendo nelle riflessioni di questi giorni, aiutato dall’atmosfera della Mansarda, dal suo silenzio, imbiancato di fresco da chi ha pensato ad accogliermi. Perché abbiamo sentito parlare tanto di pace in questi giorni, e oggi il tema della luce riecheggiava, almeno nell’ambito della liturgia cristiana, e perciò mi sono cominciato a interrogare su cosa davvero rovina la pace tra gli uomini, cosa oscura la luce che è venuta a salvare ogni essere umano.
Ovviamente una delle risposte più facili da dare è che la violenza è il vero responsabile, ma violenza è una parola ambigua, che ha molti significati, alcuni sdoganati dall’uso, altri più reconditi. C’è la violenza fisica, verbale, psicologica, ideologica… qual è la violenza che genera il disastro? E da cosa nasce l’atteggiamento violento, o meglio cosa lo giustifica, lo razionalizza, lo rende accettabile e condivisibile, addirittura giusto agli occhi di chi lo attua?

Allora mi è venuta in soccorso la storia, proprio la storia che chi è credente in Cristo ricorda oggi… L’apertura dell’annuncio cristiano a tutte le genti non è avvenuta in modo indolore né a suo tempo, né oggi. Quando Pietro prima (timidamente) e Paolo poi (con la sua passione missionaria) hanno iniziato ad annunciare il Vangelo ai pagani (ai gentili come dice qualche traduzione italiana della Bibbia) sollevarono scandalo e trovarono l’opposizione della comunità di Gerusalemme (guidata da Giacomo, il “fratello del Signore”). Questo portò a un confronto nella Chiesa nascente, che ebbe una risoluzione ma anche degli strascichi successivi. Alla fine il Vangelo giunse ai pagani (a noi che non siamo discendenti di Abramo secondo la carne o secondo la Legge) ma non fu un percorso facile, come ci testimoniano i resoconti (un po’ addolciti) degli Atti degli Apostoli e le testimonianze (più agguerrite) di Paolo nelle sue Lettere (in particolare Galati, ma anche Romani). Oggi i credenti in Cristo celebrano questa gioia dell’apertura del Vangelo alle genti, rappresentata nella visita e nell’adorazione di Gesù da parte di questi sapienti (Magi) venuti dall’oriente, in cammino, in cerca di una verità, seguendo una luce, una stella. Sempre oggi vediamo però come sia difficile accettare che altre genti siano entrate nella comunione di fede cristiana e vi abbiano apportato le loro novità, o tentino di farlo, tra tanti impedimenti. Già, perché come nei primi tempi la componente giudaica del cristianesimo faceva difficoltà ad accettare l’ingresso dei pagani nella fede e voleva “normalizzarli” chiedendo loro di aderire alla Legge di Mosè, non gradendo le modifiche, gli sviluppi, le evoluzioni che la prassi di vita cristiana stava subendo a causa della loro inclusione, così oggi si manifestano difficoltà da parte dei “pagani di un tempo”, la cultura occidentale, ad accettare le novità che la fede cristiana dei popoli dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina producono e inducono alla prassi di vita cristiana, o anche ad accettare la novità che nuovi approcci vitali e teologici fanno sorgere nelle comunità ecclesiali, nel “popolo di Dio”, più sensibile, finalmente, alla voce delle donne, dei poveri, degli esclusi. L’errore si sta ripetendo, con gli “occidentali” al posto dei “giudaizzanti” e con tutti gli altri al posto dei “pagani”. Un errore destinato a essere superato dalla storia e dalla forza dello Spirito, come lo fu a suo tempo, alle origini della Chiesa.

E l’errore, che genera l’esclusione, che è violenza, è quello di pensare di “possedere” la salvezza, di “possedere” Dio o Cristo, che esso sia “nostro”, cioè di noi “occidentali” o “europei”. L’errore è quello di presumere di possedere la Verità, di “aver ragione”. Ecco la radice della violenza: aver ragione! O pensare, presumere, convincersi di averla… Lasciando ora in pace le comunità delle origini e i conflitti tra componenti giudaizzanti e pagane (non sia mai che questo venga letto come anti-semitismo) guardiamo a noi oggi. Si vede un’Europa che si sente “proprietaria” del cristianesimo, anche in Italia, specialmente di recente. Che lo considera un identificativo culturale irrinunciabile da “difendere” (l’eterna scusa della guerra, della violenza, è “difendere” qualcosa) contro l’invasione di altre popolazioni, religioni, sistemi di vita. Questo a livello politico… Ma a livello ecclesiale non va meglio, perché mentre si leva (qualche) voce in difesa degli immigrati e del rispetto della loro cultura e religione (nemmeno da tutto l’ambito ecclesiale, peraltro) si è poi sordi e ciechi di fronte alle diversità di altro tipo che bussano alla porta della fede. Vedi la Teologia della Liberazione e la Teologia India, frutti dell’America Latina e non solo. Vedi la Teologia Femminile (detta Femminista già per squalificarla) ma anche tutte le istanze ecumeniche e il dialogo interreligioso e con la cultura laica. E tutto a causa della presunzione (abbastanza infantile) di possedere la Verità, che per il credente è Cristo, ma che non può proprio per questo essere “posseduta”, bensì “cercata” (come fanno i Magi), amata e servita (come fa Paolo).

Così la ragione, l’aver ragione, diventa davvero focolaio di violenza, di guerra, distrugge la pace, oscura la luce. Si usa dire che “la ragione è dei fessi”, mentre invece “la ragione è dei violenti”. E io? Quante volte ho pensato, ho voluto “aver ragione”! Quante volte avrei voluto che gli altri approvassero, capissero, appoggiassero le mie scelte perché erano giuste, perché “avevo ragione”. E in questi giorni il problema si ripropone, perché in ogni rinascita, in ogni cambiamento c’è chi ha da dire la sua, chi capisce e chi approva, ma anche chi è perplesso e disapprova, come anche chi giudica e condanna. Beh, io stavolta “non voglio aver ragione”, voglio “fare la mia scelta”, che è quella della rinascita, della ridefinizione del ruolo e della vita. Che sia giusta o sbagliata, approvata o disapprovata, ma è la mia! Non è assoluta, non vale per tutti e non deve metter tutti d’accordo. Potrebbe anche essere sbagliata ma servirà comunque a crescere, a vivere e non sopravvivere. E credo, spero, voglio che questa scelta mi educhi a saper accettare “le scelte” degli altri, senza pretendere che “abbiano ragione” o presumere che “abbiano torto”. Perché come i Magi (che bel nome per un amante del fantasy come me, che nome “familiare”) voglio stare in cammino, in ricerca, voglio seguire le stelle, fare scoperte, provare meraviglia, stupore, emozione e non accontentarmi mai… Così forse costruirò un pezzetto di pace, di non violenza, perché stando in cammino, cercando la Verità senza poterla possedere, non potrò “aver ragione” ma solo fare “scelte” proprio per questo libere, anche sbagliate, e quindi davvero umane.

Un saluto da Robinton